Fascicoli sanitari inutilizzabili: meno di metà degli italiani ha dato il consenso al loro utilizzo

Sapere soprattutto nei casi di emergenza se un paziente è allergico, prende un farmaco salva vita o soffre di una patologia cronica grave può fare la differenza. Eppure per sei italiani su dieci questa possibilità a portata di un semplice click per medici e infermieri oggi è preclusa perché il Fascicolo sanitario elettronico è ancora per troppi un oggetto misterioso. Al 31 marzo scorso solo il 42% ha infatti dato il consenso alla consultazione dei propri dati sanitari contenuti nel fascicolo: dalle ultimi analisi effettuate, agli esami o ai farmaci che si prendono abitualmente fino a precedenti ricoveri o al “patient summery” (una sorta di breve identikit del paziente) . E con enormi differenze regionali perché si va dal 92% dei sì all'utilizzo del Fse degli emiliani allo striminzitissimo 1% di consensi dei calabresi, oppure dall'88% dei sì dei veneti e l'86% dei friulani all'1% di campani e molisani, dal 66% dei sì di cittadini della Lombardia all'8% di quelli del Lazio. Che gli italiani bazzichino poco il proprio fascicolo - a parte quelli contrari per principio che si presume siano una minoranza - lo dimostrano anche i dati di accesso: a fronte di una media nazionale del 21% che hanno aperto il loro Fse negli ultimi 90 giorni, c'è il 65% degli emiliani e l'1% dei marchigiani,
Questa mancata adesione rappresenta, come detto, molto più di un semplice adempimento burocratico nato nel nome della difesa del diritto alla privacy dei pazienti. Perché senza il consenso dei cittadini il fascicolo sanitario elettronico (Fse) è praticamente inutilizzabile in ospedale, negli ambulatori o negli studi dei medici e anche in pronto soccorso quando per gli operatori sanitari avere una informazione in più in tempi strettissimi può essere cruciale per salvare una vita. Tutto questo mentre tra meno di otto mesi (il 31 marzo) come previsto dal Pnrr che investe oltre 1,3 miliardi per il potenziamento del Fse ogni medico e struttura sanitaria sia pubblica che privata sarà obbligata a caricare nel fascicolo tutti i documenti sanitari prodotti.
Il corto circuito è provocato proprio da questo passaggio senza il quale il fascicolo non è accessibile dal personale sanitario: il mancato consenso alla consultazione non blocca ovviamente le prestazioni di cui si ha diritto, ma i dati e i documenti contenuti «sono visibili soltanto a Lei e al medico che li ha prodotti e non saranno acceduti per finalità di diagnosi, cura e riabilitazione, profilassi internazionale e prevenzione», avverte un messaggio scritto un po' in burocratese che compare quando si apre il proprio Fse dove è sempre possibile “flaggare” il proprio consenso.
L'accesso ai dati sanitari del paziente - secondo le ultime regole che ne disciplinano il funzionamento (Dm 7 settembre 2023) - sarebbe in teoria possibile, anche se in modo limitato, nei casi di emergenza come l'arrivo in pronto soccorso: in questi casi medici e infermieri potrebbero consultare almeno al cosiddetto profilo sintetico sanitario (il “patient summary”) nel quale ogni medico di famiglia dovrebbe descrivere in modo sintetico le condizioni del suo assistito, come la presenza di una patologia e le terapie che vengono prese per curarla. Peccato che secondo gli ultimi dati disponibili solo il 5% dei dottori ha già redatto questo documento, un ritardo su cui ministero della Salute e Regioni vogliono provare ora a intervenire con la formazione. «Bisogna convincere i medici di famiglia a scrivere i profili sintetici dei loro assistiti facendogli capire che non si tratta di un onere burocratico ma di un passaggio essenziale per garantire le cure migliori nei momenti di emergenza, ma anche nel rapporto con gli altri medici specialisti”» avverte Alessandro Campana, senior partner della società di consulenza Ptsclas ed esperto di fascicolo sanitario. Campana insiste sul «vero nodo» e cioè il consenso del cittadino: «Si deve lavorare - aggiunge l'esperto - su due fronti: da una parte bisogna formare bene i medici di famiglia affinché spieghino ai pazienti quanto è importante darlo, ma allo stesso tempo bisogna far crescere la comunicazione e l'informazione verso i cittadini facendogli capire che se danno il consenso non perdono i loro dati e che il fascicolo sanitario gli consente sempre di tracciare tutti gli accessi e sapere quali medici hanno consultato quegli stessi dati sanitari».
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