Malattia di Lyme, cosa fare se morde una zecca

La malattia di Lyme – la malattia che ha colpito Justin Timberlake – è un'infezione trasmessa dalle zecche del genere Ixodes ricinus, nota in Europa come “zecca dei boschi” o “zecca delle pecore” (non è la zecca dei cani). L’agente patogeno è un batterio, la Borrelia. La malattia è di difficile diagnosi perché i sintomi possono comparire dopo molti mesi e quindi si fa fatica a ricondurli al morso di una zecca molto lontano nel tempo e di cui talvolta non ci si accorge perché non è doloroso.
I segnali inequivocabiliI segnali cui prestare attenzione dopo il morso però ci sono. “E sono anche abbastanza semplici da individuare – spiega Enea G. Di Domenico, Coordinatore dell’Attività Scientifica Sperimentale, presso il laboratorio di Microbiologia e Virologia, Istituto Dermatologico San Gallicano, IRCCS, IFO, Roma – perché compare una lesione sul sito della puntura. Quello che chiamiamo eritema migrante, ovvero una specie di bersaglio che ha il centro rosso, un alone chiaro attorno e poi di nuovo un circolo rosso attorno. Con una tendenza ad allargarsi. Quindi visibile. Questo è il primo indizio, che deve farci andare dal medico che farà diagnosi e prescriverà una terapia antibiotica preventiva. Nell’80-90% dei casi il rischio di malattia è scongiurato per due motivi: il primo è che diamo l’antibiotico ma non sappiamo se il batterio fosse davvero nell’intestino della zecca, perché ovviamente non tutte le zecche sono infette; il secondo è che per nostra fortuna questo batterio non è resistente agli antibiotici, che quindi sono efficaci”.
Chi invece si ammalaC’è poi un 10-20% di casi in cui invece ci si ammala. “In genere è perché si inizia tardi la terapia antibiotica – continua Di Domenico – o perché non ci accorge della puntura perché magari è dietro la schiena o in testa o perché ci si trova di fronte a forme in grado di sopportare l’antibiotico grazie a un biofilm che protegge il patogeno”. E di recente proprio a queste forme i ricercatori del San Gallicano, in collaborazione con Sapienza, Università di Lubiana e Associazione Lyme Italia, hanno coordinato e pubblicato uno studio su Frontiers in Cellular and Infection. Microbiology-Veterinary and Zoonotic Infection. Lo studio ha usato tecniche avanzate di analisi genetica e test sugli antibiotici scoprendo che, quando i batteri Borrelia afzelii e Borrelia garinii – principali agenti della malattia di Lyme in Europa – formano biofilm protettivi, i farmaci comunemente usati come ceftriaxone e doxiciclina perdono molta della loro efficacia. “Cosa che contribuisce a rendere la malattia di Lyme persistente e difficile da trattare con le terapie tradizionali”, spiega Di Domenico, responsabile scientifico dello studio. Ma che apre la strada a nuovi interventi.
I sintomiMa veniamo ai sintomi. Dopo l’eritema migrante dopo qualche settimana (che in qualche caso possono diventare mesi), si possono sviluppare disturbi delle pelle e neurologici precoci che colpiscono le articolazioni, il sistema nervoso e gli organi interni. La malattia può cronicizzare. "In realtà è molto difficile fare una diagnosi di malattia di Lyme – continua Di Domenico – ma ci si arriva per esclusione e la difficoltà di fare studi è legata proprio a questo. Non ci sono sintomi classici ed è difficile collegare i sintomi a una puntura magari di un anno prima. Anche la terapia non si avvale di niente di specifico, si prescrivono antibiotici a cicli, negli Stati Uniti alcuni lo fanno anche per tempi lunghissimi, e si interviene poi sui singoli sintomi. Certo è una patologia invalidante con effetti anche severi”.
ProfilassiNegli Stati Uniti sono disponibili vaccini contro la borreliosi di Lyme ottenuti con tecniche di ingegneria genetica ma non si sa quanto duri l’immunità conferita e comunque i vaccini sono consigliati solo a persone di età 15-70 anni che vivono o lavorano in zone infestate da zecche infette da agenti della borreliosi di Lyme. Che non sono gli stessi degli agenti che circolano in Europa, motivo per cui in Italia ed Europa non sono utilizzati.
PrecauzioniL’Istituto superiore di Sanità raccomanda di attenersi a precauzioni nel caso di gite in montagna (le zecche amano il fresco e per questo sono poche diffuse al Sud): vestirsi adeguatamente, alla fine dell’escursione ispezionare attentamente la propria pelle,
soprattutto le parti molli e calde, come ginocchio, gomito, ascella, inguine, ma anche schiena, più appetibili per le zecche. Controllare sempre gli indumenti indossati, così da rimuovere prontamente eventuali intrusi. In commercio, poi, esistono prodotti che scoraggiano l’attacco delle zecche a base di dietiloluamide e Icaridina o KBR3021.
Come rimuovere una zeccaSe ci si accorge di avere una zecca conficcata nella pelle intervenire prontamente per toglierla: bastano delle pinzette per ciglia e disinfettare. Attenzione a non schiacciare l’insetto, per impedire il rigurgito che aumenterebbe le possibilità di infezioni. Non toccare mai a mani nude la zecca: indossare guanti e poi lavarsi bene le mani. Assicurarsi, poi, che la zecca estratta sia integra e che non ne siano rimaste parti all’interno della pelle. Nel caso: intervenire con un ago sterile per rimuovere il restante. L’ISS suggerisce anche di “conservare la zecca estratta in una boccetta di alcol al 70% per identificare, se necessario, gli eventuali agenti patogeni, in caso di sintomi e informare il medico sulla località di ritrovamento. Vietati i "rimedi della nonna”, tipo cospargere la zecca con alcol o olio o altre sostanze: non facilita l’estrazione e può addirittura spingere l’insetto a insinuarsi ancora più nell’ospite”.
La Repubblica