Seleziona la lingua

Italian

Down Icon

Seleziona Paese

Italy

Down Icon

Infarto e non solo, perché la donna ha bisogno di prevenzione e cure su misura

Infarto e non solo, perché la donna ha bisogno di prevenzione e cure su misura

Dolore allo stomaco, nausea, difficoltà respiratorie, sudorazione fredda, palpitazioni: l’infarto nella donna inganna. E spesso si presenta in modo diverso dalla classica manifestazione del dolore dietro lo sterno, che risale verso il collo e le spalle per irradiarsi alle braccia. Così, purtroppo, la donna stessa non considera l’opportunità di chiamare i soccorsi. E magari, anche a distanza, si rischia di sottovalutare l’ischemia cardiaca. Pur se c’è da sperare che la situazione sia cambiata rispetto al 2022, quando uno studio sul British Medical Journal ha mostrato che le donne con infarto hanno il 50% in più di probabilità di avere una diagnosi sbagliata rispetto agli uomini, sulla via della parità di genere nella prevenzione e nella cura dell’infarto appare ancora lunga. Anche perché è difficile pensare a strategie preventive e cure di genere.

Cuore, quando e quanto rischia la donna: i sintomi da non sottovalutare

Ancora oggi, infatti, la partecipazione delle donne agli studi clinici sui farmaci e sui trattamenti per infarto, scompenso e ictus risulta ridotta. Quindi anche per la donna ci si trova ad essere trattate spesso con terapie studiate e costruite per l’uomo, alla faccia delle differenze. Lo ribadiscono gli esperti della Fondazione “Il Cuore Siamo Noi” della Società Italiana di Cardiologia (SIC) in occasione di un convegno dedicato al tema che si tiene a Roma, in Senato.

L’importanza della cardiologia di genere

C’è un problema di base, quando si parla di infarto, ictus e simili. Le cifre dicono che la donna rischia addirittura di più, ma la percezione comune (sbagliata) è che invece si tratti di patologie che colpiscono soprattutto i maschi.

Come si protegge il cuore dal caldo: i consigli del cardiologo

“Secondo i dati della Società europea di cardiologia, non solo le malattie cardiovascolari rappresentano oggi la principale causa di morte tra le donne, ma il tasso di mortalità è decisamente più alto, con il 51% dei decessi nel genere femminile, contro il 42% nel genere maschile – segnala Pasquale Perrone Filardi, presidente della Società italiana di cardiologia -. Questo dato si conferma anche in Italia dove le malattie cardiovascolari sono state la causa di oltre 217 mila morti, di cui circa 122 mila tra le donne e 95 mila tra gli uomini”. Insomma: le malattie cardiovascolari continuano a essere considerate un problema soprattutto “maschile”. Questo ha portato a un forte squilibrio nella ricerca, prevenzione, diagnosi e cura. “Le donne oggi vengono ancora trattate in misura minore con farmaci specifici e ricevono tardivamente i necessari trattamenti - spiega Susanna Sciomer, professoressa associata di Cardiologia dell’Università Sapienza di Roma -. Inoltre, sono meno sottoposte sia a screening di prevenzione sia a terapie riabilitative”. Il gender gap pesa, eccome. E non solo sulle manifestazioni dell’infarto, troppo spesso sottovalutate.

I fattori di rischio al femminile

Anche i fattori di rischio cardiovascolari come ad esempio fumo, diabete e ipertensione, hanno un impatto diverso sul genere femminile. “Una fumatrice può avere un rischio fino a cinque volte maggiore di sviluppare una patologia aterosclerotica, rispetto a un uomo, e nelle donne il diabete, malattia più frequente che negli uomini, può comportare un rischio raddoppiato di eventi cardiovascolari - puntualizza Sabina Gallina, Ordinaria di Cardiologia dell’Università di Chieti -. Inoltre, i fattori di rischio codificati e comuni a maschi e femmine si potenziano nelle donne dopo la menopausa. Per esempio, l’ipertensione arteriosa è dominio dell’uomo prima dei 50 anni. In seguito, l’incidenza è più alta nelle donne”.

Il tutto, senza dimenticare che ci sono fattori di rischio specificamente legati al genere. Qualche esempio? Il mancato ritorno al peso che si aveva prima della gravidanza nell’arco di un anno dalla nascita del bebè, il parto pretermine, l’ipertensione, il diabete gestazionale, il menarca prematuro e la sindrome dell’ovaio policistico, fino ad arrivare ai trattamenti radioterapici relativi al tumore della mammella.

“Tutto questo rende necessario un approccio specifico e personalizzato per la salute cardiovascolare femminile e la diffusione di una maggiore consapevolezza sull’unicità biologica e ormonale della donna e l’impegno nella costruzione di un’attività di ricerca e di una medicina sempre più attenta alle specificità del genere femminile", è il parere di Roberta Montisci, professoressa di Cardiologia dell’Università di Cagliari”.

Necessari studi su misura

A fronte di queste realtà, secondo quanto recentemente apparso sulla rivista Heart sulla scorta di oltre 170 studi clinici, Le sperimentazioni cliniche sulle malattie cardiovascolari vedono una partecipazione inferiore al 30% per le donne. Il che genere dati insufficienti con ha un grave impatto sulla cura delle malattie cardiovascolari femminili.

“Il fatto che le donne siano sottorappresentate negli studi clinici in ambito cardiologico ha conseguenze importanti sulla salute del cuore perché può portare a terapie che non consentono una cura “sartoriale” delle patologie cardiovascolari nel genere femminile, in quanto i trial non tengono adeguatamente conto delle differenze biologiche tra i due sessi con risultati che possono incidere sulla mortalità e sul rischio di eventi cardiovascolari – sottoilinea Francesco Barillà, presidente della Fondazione “Il Cuore Siamo Noi” della Società Italiana di Cardiologia -. Infatti, ignorare la specificità delle donne negli studi clinici comporta un non adeguato approccio clinico specifico. Tutto questo perché i farmaci comunemente utilizzati per le principali malattie cardiovascolari, a partire dall’infarto, sono testati prevalentemente sull’uomo e, pertanto, non adeguati alle caratteristiche fisiologiche esclusive della donna. Ciò contribuisce a un aumento degli effetti collaterali e a una minore aderenza terapeutica con rischio più alto del 20% di infarto miocardico”.

La Repubblica

La Repubblica

Notizie simili

Tutte le notizie
Animated ArrowAnimated ArrowAnimated Arrow